Dare un occhio al passato ci fa comprendere meglio come noi italiani siamo arrivati alla condizione di leader indiscussi della moda nel mondo e dove potremo collocarci nel futuro.
Certamente, la storia incredibile ed unica del Bel Paese hanno inciso e non poco sulla cultura collettiva della moda, del fashion, del costume e dell’immagine nella sua accezione più generale.
Il lusso e lo sfarzo della millenaria antica Roma, ad esempio, hanno fatto molto da ispirazione per gli stili del Rinascimento; questo, a sua volta, è stata fonte d’ispirazione dal Risorgimento sino all’età moderna.
Si dice tutt’oggi che le mode sono cicliche. Beh, è certamente vero! Ciò lo si ritrova non solo in piccoli cicli di tempo ma anche in lassi di tempo di anni e secoli.
Basti, ad esempio, pensare alla somiglianza tra alcuni tavoli d’arredo rinvenuti a Pompei e i mobili del risorgimento; alla moda di indossare parrucche nell’antica Roma che più volte si è ripetuta nel corso della storia.
Nel mondo, il termine “ moda ” deriva dal latino “modus”, che significa maniera, ma anche norma, regola, tempo, modalità, ritmo, tono, moderazione, discrezione. Termini tutti che possiamo identificare come sfaccettature di ciò che oggi si intende con la parola moda
Nei secoli passati, l’abbigliamento alla moda era alla portata esclusiva delle sole classi abbienti. In primis per via del costo delle materie prime (sia dei tessuti che dei coloranti usati). È bene ricordare come fino all’Ottocento, l’abito era considerato talmente prezioso che veniva addirittura annoverato tra i beni testamentari. I ceti poco abbienti erano soliti indossare solo abiti tagliati rozzamente e, soprattutto, colorati con tinture poco costose come il grigio. A questi, si abbinavano scarpe in panno o in legno. Tali classi sociali, non potendo permettersi il lusso di acquistare abiti nuovi confezionati ad hoc, spesso compravano dell’abbigliamento usato.
In Italia, invece, la moda nasce dalla prima sfiatata organizzata il 12 febbraio 1951 da Giovanni Battista Giorgini. Egli la improvvisò nella propria residenza fiorentina, Villa Torrigiani. Sulla passerella sfilarono creazioni sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di produttrici fiorentine, milanesi e romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Inoltre, la manifestazione si svolse immediatamente dopo gli appuntamenti di moda parigini. Fu un evento appositamente pensato per incuriosire i compratori americani e indurli a prolungare il loro viaggio europeo aggiungendo una tappa a Firenze.
Ai rappresentanti dei più importanti department store d’oltreoceano – I. Magnin di San Francisco, Henry Morgan di Montreal, B. Altman, Bergdorf Goodman e Leto Cohn Lo Balbo di New York – era ben chiaro che a Firenze li attendevano collezioni del tutto innovative ed uniche dato che alle case di moda italiane era materialmente mancato il tempo necessario per recepire ed elaborare le nuove tendenze lanciate dalle passerelle parigine.
Di origini nobili, nel periodo fra le due guerre, Giovanni Battista Giorgini si dedicò all’attività di rappresentante dei prodotti dell’artigianato toscano quali paglie, maioliche, biancheria ricamata per la casa che aveva commercializzato negli Stati Uniti. Nazione, questa, della quale aveva acquisito una conoscenza molto approfondita del mercato e delle tendenze locali. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane (dall’alta sartoria ai modelli boutique, dalle creazioni per lo sport a quelle per il tempo libero) aveva tutte le carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato bisogni di consumo che non potevano essere soddisfatti dalle creazioni esclusive ed elitarie proposte dagli atelier parigini. Fu un articolo pubblicato dal magazine americano «Time» a commento della sfilata fiorentina a dare un vero slancio allo stile italiano. I lettori appresero che i modelli italiani costavano circa la metà di quelli francesi e rispetto a questi non avevano nulla da invidiare. Il giornalista chiudeva l’articolo «Cause for worry»: gli italiani stavano incominciando a impensierire seriamente i couturier francesi.
A Firenze per l’Alta Moda romana sfilarono Simonetta, Carosa, Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio Schuberth (1904-1972) che, con l’accostamento di colori e materiali nelle sue creazioni, diede alla sfilata un contributo di gusto mediterraneo e di profonda conoscenza delle tradizioni sartoriali napoletane.
Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna e Noberasco oltre che con le pellicce di Jole Veneziani (1901-1989), e con Germana Marucelli (1905-1983). La Marucelli è considerata dagli storici della moda come l’anticipatrice del New Look di Christian Dior e, con l’aiuto di Franco Marinotti (fondatore della Snia Viscosa), era subentrata alla storica casa Ventura aprendo un proprio atelier divenuto cenacolo di architetti, pittori, scultori, poeti.
Per la moda da boutique, sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, le cui creazioni si caratterizzavano per i colori, i disegni ed il taglio classico, ma anche Franco Bertoli (1910-1960) che, al contrario, si distingueva per originalità e fantasia; queste doti furono affinate durante gli anni Trenta quando la scarsità delle materie prime aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio Pucci (1914-1992), che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense attraverso varie pubblicazioni sulla stampa di moda ed la vendita dei suoi prodotti nei grandi magazzini con il marchio “Emilio”.
Vissuto all’insegna della conquista dei mercati internazionali, il decennio si concluse ribadendo la centralità della capitale d’Italia: a Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della Moda italiana e nel 1959 Valentino (1932) aprì la propria casa di moda.
Importante, poi, è stato il ruolo di Pierre Cardin che rivoluzionò l’Alta Moda introducendo linee geometriche e nuovi materiali – come il vinile utilizzato per il suo space look – ed interpretando in maniera nuova il ruolo dello stilista. Fu il primo a lavorare per i grandi magazzini, a produrre una propria linea di prêt-à-porter, ad estendere la politica del licensing all’abbigliamento pronto suscitando la reazione della Chambre Syndicale de la Couture Parisienne che lo espulse. Nel 1958 Yves Sain Laurent, che aveva iniziato la propria carriera da Dior, esordì presentando la linea trapezio: vestiti a forma di sacco, stretti in alto e svasati verso il basso, lunghi fino al ginocchio. Nel 1954, quindici anni dopo la chiusura, riaprì i battenti la Maison Chanel.
È importante precisare che la prima vera e propria sfilata si tenne a palazzo Pitti nel 1952, alla quale ne seguirono molte altre fino a divenire, soprattutto ai giorni nostri, un riferimento assoluto per i buyer di moda di tutto il mondo.
Gli anni ’50 furono caratterizzati anche dalla nascita Krizia e Ottaviano Missoni, pionieri del prêt-à-porter.
Negli anni ’60 e ’70, sull’onda dell’ormai lanciato nuovo mercato della moda, nascono marchi del calibro di Ray Ban (acquisito solo negli anni ’90 da Luxottica), Timberland (vero pezzo identificativo dei paninari milanesi ma di grande successo e utilizzo per tutti oggi), ed Elio Fiorucci che intuì un nuovo business possibile con la moda di strada.
Il successo del Made in Italy in questo periodo derivò anche da abili strategie di marketing. Milano strappò la palma di capitale della moda a Firenze, Venezia e Roma. Diventarono famosi stilisti come Giorgio Armani, Ottavio Missoni, Gianfranco Ferrè, Gianni Versace, Dolce & Gabbana, Miuccia Prada e Krizia. Il successo di D&G fu dovuto alla pop star Madonna, entusiasta degli abiti dall’erotismo chic e trasandato, con calze nere e biancheria intima da portare in vista.
Una grande storia quella della moda. Storia che continua con l’Italia ed il Made in Italy come protagoniste dell’eccellenza!